1° classificato
Stefano di Monda
Mattinata allegra con Silvia e Federica
Bosconero 4 aprile 1999
Ed è disteso il verde e quieta gli occhi e il cuore
e una chioma color dell’oro a mezzo metro da quello del muschio
prime corse di nuove primavere
saggio di volo ora librato, ora al battere d’ali
uccelli di campagna, cornacchie e gazze ladre
code al vento di boccoli e riccioli
ad un metro dal guanciale terrestre
entusiasta esplosione di sei primavere
trenino diesel di una sola carrozza
spacca in due la distesa del campo
dimensione di esistenza più lenta
faccio in tempo ad essere parte
della terra sulla terra disteso
sgambettano giochi infantili
mi coprono d’erba
mimetizzano il padre e il prato
e crescono improvvise
arrestano la corsa
divorano con gli occhi un’oasi fiorita
boccoli e capelli d’oro, tuffi e abbracci sulla chioma terrestre
e dai filari di pioppo ritorna la voce dell’eco
vivifica l’essenza delle nuove e delle vecchie primavere.
Oscar Baruffi
2° classificato
La festa
Morbida arriva la sera
stempera i colori,
con la calma dei forti dissolve le ombre
Non c‘è più tempo!
Sentiremo appena l’aria intiepidirsi
Sorrideremo saggi e rassegnati
della vanità del nostro dolore
Docile e padrona la Civetta
farà piccoli voli
sicura del divenire del regno
Quale rimpianto
per le urla gioiose del mattino!?
Io ho tremato
alla coscienza del tempo che passa
È difficile salutare quando il corpo
odora di vita,
quando ancora la vita ti sveglia la notte
Io vi ho lasciate piangendo,
anime appena nate
Dubbiosi siamo rotolati, senza scelta
sotto il sole cocente
Questa è la vita, abbiamo inteso!
Brucio e vi vedo ardere chiedendomi
perché?
Perché, ragazzi
con le tempie imbiancate,
ora ci affanniamo a capire?
Semplicemente la festa è finita!
È finita da tempo per noi
La sentite la musica?
Li vedete i bagliori?
Quella luce non è nostra
Non c‘è più tempo, amici miei
La sentite l’aria intiepidirsi?
Roberta Degl’Innocenti
3° classificato
L’ultima canzone
Aquiloni,
di carta colorata,
in alto,
come l’ultima canzone.
Ma non è mai la morte
a vincere il destino,
quando cala il sipario
ed è finito il gioco,
anche i pensieri
divengono farfalle.
Dormi,
nel letto chiaro della sera,
dove la rosa
si confonde al giglio,
fra papaveri accesi
e fichi d’India
i sogni s’intrecciano
alle note.
Dormi,
all’argine del fiume,
vigoroso,
riflesso sul respiro
dei tam tam,
ai margini del bosco,
in dolce quiete,
anche – i bambini dormono
nel letto del Sand Creek.
Dedicata a Fabrizio De André
Vilma Porro Marchetti
4° classificato
Lungolago d’autunno
Incupite nuvole sfiorano
l’oscura incombente montagna.
Bassa luce del tramonto
crea lunghe ombre inquiete.
Contro un muro scrostato
una bicicletta malandata.
Vecchi che non si guardano,
rassegnato un cane.
Immobili nel silenzio.
Lunghe ombre e nuvole.
Alberi neri spogliati,
immemori di fioritura.
Un cane abbandonato.
Vecchi che non si parlano.
Una bicicletta rubata,
sgretolato un muro.
Il lago freme, pesante
come liquido piombo.
Ancora un giorno è passato
nell’attesa piatta del nulla.
Maria Mosca
5° classificato
Vento di terra
Lo sento come arriva,
vento di terra.
Timido l’approccio
incerto il dipanarsi.
Dalla collina giù
fino alla piana,
scuote le querce
che vorrebbe amare.
Rabbrividisce l’erba
stretta a tappeto fitto,
spaurita, spera che il vento
abbracci la terra amica.
Gianfranco Molinaro
6° classificato
Sconosciuta
Il silenzio che attraversa
Le luci dell’ignoto;
Il sogno che pervade
La coscienza dell’io;
Lo splendore della vita
Impigliato
Negli occhi della sconosciuta,
Nel mio universo schiudono
Della bellezza
L’identità.
La parola che sconfina
Con immediata leggerezza;
È il segreto di un’angoscia
Muta e solare;
Negli incompiuti abbozzi
Della felicità,
La naturalezza di ciò che non siamo:
Giochi già giocati.
I tuoi occhi sono fiori:
Sono dell’argine della memoria;
Lascia nelle mie mani di sabbia,
L’indefinito pensiero.
Hai la pelle nell’alba del deserto
E il cuore nel sogno;
Il vento di questa sera
Non farà più ritorno
Nel tempo dell’oblio.
Accogli, nude e fumanti,
Tra le tue festose stanze,
Le grida incompiute
Dell’azzurro e scalzo mio disordine;
E lascia sul corpo del sole
Sanguinante d’inchiodate giovinezze,
Il risonante arpeggio
Di parole immaginate
E mai dette.
Sconosciuta,
Sei mia!
Sei spazio,
Sei pelle.
Nel mio spazio
Nella mia pelle.
Non dire!
So dei tuoi cieli stanchi,
E dei tuoi versi
Legati alle zattere di rosa.
Vorrei non conoscerti
Per amarti
Sempre di più!
Vittorio Novelli
7° classificato
Viaggio
Denso tracimando a terra, confuso d’immaginario, favole,
trasalendo incolto, d’ambienti livido, panni lisi, smessi,
s’attrae sguardo a polvere di cocci inchiodato,
ferreo su mille, mille immagini confuse da colori estranei,
e d’avanguardie macchie d’interi colori abbandonati ora
nella nebbia, ora di petto il sole, tanto cambia il tempo.
Fortunati chilometri percorsi, privi in qualsiasi visuale,
acclamanti d’un’immagine fissa e molteplice d’una vista nuova.
Nell’universo, che s’avesse piedi mai nuoterebbe stellato del gelido mare di stelle,
ho camminato nascondendo d’arterie in vene il perché di quel passaggio opaco,
regolare, diretto in ciò che mai s’ambisce conoscere.
Ho camminato d’ogni natura grigia, molle e marcia di sapori e odori colti mai d’usuale albero.
E niente c’era a trascinar in quel percorso, questuante, impudentemente lieve.
Che bisogno c‘è d’andare oltre quel che accade,
era la domanda, che bisogno c‘è di scoprir le carte assegnateci in partenza,
di veder sorgere il sole un attimo prima dell’alba
assistere immoti al calore e a coglierne la foglia, la goccia?
Ma il vortice gira e attira più delle domande, d’una coscienza,
del gesto, della carne e del futuro in fumo d’universo.
Ogni istante d’asfalto, di coccio, d’erba a modo suo scaldava il cuore:
la casa abbandonata, la cena che freddava sola,
la donna i cui contorni premevano astuti a penetrar selvagge sequenze senza pari.
Ogni istante ha una ragione e molti istanti tra due soli.
sorgendo creano vendetta e razionale appagamento delle verità cui mi affidavo.
Continuai calpestando steli d’erba e il greto della vita incappando in quel solito mostro,
ma cercandone i confini, palpando cieco d’impavide rotanti dita,
nella macchia d’ombre e pollini filtrante d’ingrato sguardo.
Agguantai l’estremo polo della terra sotto piedi neppur stanchi,
e cominciai a girar fendente intorno all’asse più inclinato della somma
di queste molte altre vite che in me fluivano voraci.
Ho camminato a vuoto dissero in molti, dissero tutti,
camminai senza uno scopo, una virtù seppur vigliacca,
ma non possiedo scopi e non nostalgico virtù negate,
desidero la pace di chi ingerito e digerito dalla sorte
pensa ancora al bimbo d’ogni madre rivoltar lo sguardo imberbe
verso la campagna o verso la città che tutto attrae e aggloba.
Adriana Scarpa
8° classificato
Questo autunno che incede
Chi sa se in questo autunno
al lievitar del vento
è atto di distruzione
o di sopravvivenza
quello dell’albero
che getta via se stesso
disperdendo le foglie. Chi sa
se crede veramente
d’esser seminatore
in questa stagione che già smuore
dentro la nebbia
ora che anche la speranza
si è fatta fiammella
e bisogna ripararla con le mani
perché un alito in più
non ce la spenga.
Anche i contorni delle parole
paiono sfaldarsi
e dentro i pugni troppo spesso chiusi
l’erba più non profuma:
ha il crepitio
di cose che si sfanno.
È tempo questo
di misurare ognuno
la propria fragilità: è stata un’illusione
credere d’esser forti, corazzarci la pelle,
se questo primo freddo,
quest’umido che sale,
ci percorre la carne.
La nebbia accovacciata sopra i fossi
soffoca lenta
ci coinvolge nel disfacimento
a ondate manda avanti le paure
e con un brivido
ce le scioglie addosso.
Floriana Rubino
9° classificato
Attesa
Attesa,
immaterialità del tempo
che bussa
alla porta dei miei pensieri
senza requie,
remoto varco
trasfuso fra le sagome
dei mortali viventi,
sfocato dall’acre odore
di secreti lochi.
Là torna e ritorna
Incessantemente
Bisognoso e vagabondo
Il mio sguardo
Come perenne
È il ribelle susseguirsi
Delle ore,
il felino incalzare
alle mie spalle
di tutte le cose
a me ignote,
l’eterno viaggio
delle sempiterne stelle
la cui morte
squarcia luminosa
la volta celeste
e cavalcando l’essere
giunge
ai miei occhi
rivolti al cielo
di una risposta
supplichevoli.
Valerio Peracchi
10° classificato
Dormirete
Ora è tardi,
sul confine della
mia vita;
si sgombrano le cimase
degli ultimi raggi
vagabondi, come
irrequieto e repente
agitava e scuoteva
i rami del mio essere
il calice del tuo fiato.
E tu, la tua voce,
madre, tramuta in
carezze di stelle
le spine che sento
sulla pelle.
Voi, che sapete
imbiancare il dolore,
due farfalle che
si intrecciano in volo,
ora volgete al riposo,
che non so spartire
gli affetti,
con giusta mossa:
un re abdicante
vi incorona alla notte.